Perpetratori

mercoledì 25 Gennaio 2012

Adolf Eichmann fu il burocrate responsabile dell’emigrazione ebraica dai territori tedeschi d’anteguerra e, in seguito, della logistica connessa al rastrellamento degli ebrei e alla loro deportazione nei campi di concentramento; nel suo primo incarico aveva lavorato a stretto contatto con i capi delle comunità ebraiche. Nel 1960 fu rapito in Argentina da agenti israeliani e portato nello Stato di Israele, dove venne processato, condannato e giustiziato. Eichmann aveva visitato Auschwitz in una serie d’occasioni, e raccontò agli inquirenti israeliani quanto segue:

Di tanto in tanto la commedia sfociava nell’orrido, in storie – probabilmente abbastanza vere – il cui macabro umorismo superava ampiamente la fantasia di un surrealista. Tale fu la storia che Eichmann raccontò in istruttoria a proposito dell’infelice consigliere commerciale Storfer, di Vienna, rappresentante della comunità ebraica. Eichmann aveva ricevuto da Rudolf Höss, comandante di Auschwitz, un telegramma in cui lo si informava che Storfer era stato internato e aveva chiesto di vederlo con urgenza. «Dissi tra me: In fondo quest’uomo si è sempre comportato bene e merita che io gli dedichi un po’ del mio tempo… Andrò di persona a vedere che cosa vuole. E così vado da Ebner [capo della gestapo a Vienna], ed Ebner dice – ricordo solo vagamente – “Se non fosse stato così scemo! Si è nascosto e ha cercato di scappare”, o qualcosa del genere. E la polizia lo aveva arrestato e mandato nel campo di concentramento, e secondo gli ordini del Reichsführer [Himmler] nessuno poteva uscire, una volta entrato. Non si poteva far nulla: né io né il dott. Ebner né alcun altro poteva far nulla. Io andai ad Auschwitz e chiesi a Höss di vedere Storfer. “Già, già, [disse Höss], è in una delle brigate di lavoro”. Con Storfer, dopo, andò bene, fu una cosa normale e umana, avemmo un incontro normale, umano. Lui mi raccontò tutti i suoi guai. Io dissi: “Sì, mio vecchio caro Storfer, è proprio una scalogna!” E gli dissi anche: “Vede, purtroppo non la posso aiutare perché secondo gli ordini del Reichsführer nessuno può uscire. Io non posso farla uscire; il dott. Ebner neppure… E poi gli chiesi come stava, e lui mi disse che voleva sapere se poteva essere esonerato dal lavoro, era un lavoro duro. E allora io dissi a Höss: “Lavoro – Storfer non vuole lavorare.” Ma Höss disse: “Tutti lavorano qui”, e allora io dissi: “Se è così, dissi, farò un discorsino perché Storfer debba tenere in ordine i viottoli con la scopa (c’erano pochi viottoli, lì) e perché abbia il diritto di sedersi con la scopa su una panca.” Dissi [a Storfer]: “È contento, signor Storfer? Le va?” Lui era tutto soddisfatto, ci stringemmo la mano, e poi gli fu data una scopa e si sedette sulla panca. Fu una gran gioia per me potere almeno rivedere l’uomo con cui avevo lavorato per tanti anni, e poterci parlare». Sei settimane dopo questo incontro normale e umano Storfer era morto – non nelle camere a gas, a quanto pare, ma fucilato.
Hannah Arendt, La banalità del male, trad. it. di P. Bernardini, Feltrinelli, Milano 2009, pp. 58-59

Non è chiaro quali fossero i viottoli che Storfer fu incaricato di spazzare; ma Primo Levi afferma che i sentieri del villaggio SS adiacente il campo erano cosparsi di ceneri umane e pezzetti d’ossa dei crematori. (Da Levi, Sommersi, p. 100)

Erich von dem Bach-Zelewski era un generale degli Einsatzgruppen, responsabili della fucilazione di centinaia di migliaia di ebrei in Europa orientale. (Circa due dei sei milioni di ebrei vittime della guerra furono uccisi in questo modo.) Nel corso di una visita in cui Himmler assistette all’omicidio di cento ebrei, Bach-Zelewski gli disse:

Guardi gli occhi degli uomini di questo Kommando, quanto sono scossi! Questi uomini sono finiti (fertig) per il resto della loro vita. Che tipo di seguaci stiamo addestrando qui? nevrotici o selvaggi!

Nel 1942, lo stesso Bach-Zelewski ebbe un «esaurimento psichico», fu ricoverato con gravi disturbi gastrici e intestinali e «allucinazioni connesse alle fucilazioni di ebrei»… guarì nondimeno abbastanza rapidamente se è vero che qualche mese dopo era già tornato a massacrare ebrei… (Da Lifton, op. cit., pp. 217, 566n)

Il destino di Bach-Zelewski dopo la guerra costituisce un’interessante nota a piè pagina. Fu processato nel 1961 per il ruolo avuto nel massacro delle SA, il braccio militare tedesco rivale delle SS, nel 1934, e condannato a tre anni e mezzo di prigione; fu poi nuovamente processato nel 1962 per l’uccisione di sei comunisti nel 1933, e condannato all’ergastolo. Nessuna delle sentenze citava le sue attività con gli Einsatzgruppen. Dice la Arendt: «… fu anche l’unico di questa categoria di criminali ad autoaccusarsi pubblicamente di omicidio di massa, nel 1952, senza tuttavia essere mai processato per questo» (op. cit., p. 24).
Qual è l’importanza di Bach-Zelewski in relazione ad Auschwitz? Dalle sue difficoltà scaturì la decisione di usare il gas come metodo omicida. Höss, il comandante di Auschwitz, scrisse:

Avevo sentito la descrizione di Eichmann di ebrei falciati dagli Einsatzkommandos armati di pistole e mitragliatrici. Si dice che ci siano state scene orrende, di persone che cercavano di fuggire dopo essere state colpite, di feriti, e in particolare delle donne e dei bambini, a cui veniva dato il colpo di grazia. Molti membri degli Einsatzkommandos, non potendo più sopportare quello spargimento di sangue, si erano suicidati. Alcuni erano addirittura impazziti. La maggior parte dei membri di questi Kommandos dovevano contare sull’aiuto dell’alcol quando eseguivano il loro orribile lavoro.
Lifton, op. cit., p. 217

Höss, progettista e creatore del più importante campo di sterminio, intraprese la ricerca che si concluse con la scelta dello Zyklon B come gas letale.
Egli scrisse le sue memorie nel 1947, poco prima di venire impiccato per il ruolo avuto nello sterminio delle vittime di Auschwitz. Potremmo definirlo il nazista-tipo: aveva avuto un’educazione religiosa, effettuato pellegrinaggi a Lourdes e ad altri santuari, poi aveva abbracciato la carriera militare legandosi ai nazisti fin dall’inizio. Nel 1923 partecipa al pestaggio mortale di un sospetto delatore e viene rinchiuso in carcere, dove dà in escandescenze:

Mi gettavo esausto sulla branda e mi addormentavo solo per svegliarmi poco dopo in preda agli incubi, in un bagno di sudore. In questi sogni confusi venivo sempre inseguito e ucciso, o precipitavo in un burrone.

Liberato da un’amnistia nel 1928, si arruola in seguito nelle SS sotto Himmler e nel 1940 viene incaricato di costruire un campo nella città polacca di Oświęcim (Auschwitz per i tedeschi). Aveva già prestato servizio a Dachau, dove aveva provato un’imbarazzante eccitazione la prima volta che aveva assistito alla tortura di un prigioniero:

Provai a un tempo freddo e caldo… ma non saprei certo spiegare il perché.

Di contro, questa la sua opinione sull’educazione religiosa ricevuta:

Mi fu insegnato che il mio primissimo dovere era intervenire per portare aiuto dovunque fosse necessario. In particolare, non trascurarono mai di ricordarmi che era mio dovere obbedire immediatamente ai desideri dei genitori, degli insegnanti, dei preti…

O sul lavoro:

Per tutta la vita ho tratto profonda soddisfazione dal lavoro. Ho fatto molto duro lavoro fisico nelle condizioni più disagiate, nelle miniere di carbone, nelle raffinerie, nelle fornaci… Il lavoro in prigione [è] un mezzo per formare quei reclusi che sono fondamentalmente instabili e che necessitano di apprendere il significato della resistenza e della perseveranza…

Naturalmente è sua la responsabilità dell’apposizione della scritta Arbeit Macht Frei sul cancello del campo.
Nelle sue memorie Höss affermò di essere stato una guida esemplare, fornendo un modello ai suoi uomini:

Quando suonava la sveglia per i militari delle SS, anch’io dovevo scendere dal letto…

Nel 1941 Himmler lo convoca a Berlino, e in segreto gli chiede di trasformare Auschwitz in un campo di sterminio. Queste le parole di Himmler, a quanto riferisce Höss:

Il Führer ha ordinato che la questione ebraica venga risolta una volta per tutte… Per questo ho deciso di affidarti l’incarico. Sarà oneroso e difficile e richiede una devozione completa alla causa, nonostante tutte le difficoltà che potranno sorgere… Dovrai mantenere il segreto su quest’ordine anche nei confronti dei tuoi superiori… Gli ebrei sono i nemici giurati del popolo tedesco e debbono essere annientati. Ogni ebreo sul quale riusciamo a mettere le mani deve essere eliminato ora, durante la guerra, senza eccezioni…

L’emissario di Himmler che dovrà discutere i particolari con Höss è Adolf Eichmann. Questi gli rivela il suo piano per la deportazione degli ebrei ad Auschwitz, prima dalla Polonia, poi dalla Cecoslovacchia, poi dall’Europa occidentale. I due ispezionano i terreni circostanti in cerca di un luogo adatto per la camera a gas, finché non trovano una fattoria abbandonata che era «la più adatta»:

Era isolata e protetta alla vista da alberi e siepi e, oltretutto, non era lontana dalla ferrovia… Calcolammo che, rendendo stagne le sole costruzioni già disponibili, avremmo avuto la possibilità di uccidere simultaneamente 800 persone, disponendo del gas adatto.
Friedrich, op. cit., pp. 9-27

Höss dirotta verso la famiglia le derrate alimentari destinate ai prigionieri, e da questi si fa costruire i mobili per casa; vive in modo così agiato che la moglie, pare, afferma a gran voce: «Qui voglio vivere fino alla morte». A ogni modo, il comandante si prende per amante un’internata ariana, Eleonora Hodys, la mette incinta, e infine cerca di farla uccidere. La donna viene salvata dal giudice delle SS che investigava sulla corruzione nel campo e portata a Monaco, dove le SS la uccidono poi alla fine della guerra. (Da Friedrich, op. cit., pp. 85-86)

Dopo aver ascoltato la deposizione di Höss a Norimberga, uno degli avvocati della difesa disse:

pioveva sangue, si respirava cenere, l’odore dei corpi bruciati avvelenava l’atmosfera.
Conot, op. cit., p. 376

Concentrandosi su figure come Höss o Eichmann è facile dimenticarli, ma anche gli industriali ansiosi di impiantare fabbriche ad Auschwitz furono perpetratori di orrore:

Molte grandi imprese tedesche, tra le quali Krupp, Siemens e Bayer, erano interessate all’acquisto [di forza lavoro]. Come ogni pianeta, anche Auschwitz aveva i suoi satelliti: in tutto trentaquattro campi dipendenti. Gli internati lavoravano nel cementificio… nella miniera di carbone… nell’acciaieria… nel calzaturificio… Il più grande dei campi satellite era lo stabilimento dell’I.G. Farben… era chiamato «Buna» perché produceva gomma sintetica. La loro altra installazione principale era un impianto di idrogenazione progettato per trasformare il carbone in olio combustibile… [Le fabbriche trasformarono] Auschwitz nel più grande degli impianti dell’impero industriale Farben…
[In Buna] le condizioni erano molto simili a quelle di Auschwitz: chiamata d’appello all’alba, razioni da fame, squadre di lavoro impegnate in turni di dodici ore consecutive, picchiate dai guardiani e tormentate da cani enormi. I prigionieri che morivano per il troppo lavoro, decine ogni giorno, dovevano essere riportati al campo alla sera in modo da poter essere contati insieme agli altri all’appello della mattina seguente. Durante la costruzione dello stabilimento della Farben a Monowitz morirono almeno 25.000 persone. Uno dei veri misteri di Auschwitz è che questo stabilimento, costruito a prezzo di tanta spesa e tanta sofferenza, non ha mai prodotto, in realtà, un solo grammo di gomma sintetica.
Friedrich, op. cit., pp. 71-73

Dopo il primo processo di Norimberga si tenne anche un processo contro gli industriali dell’I.G. Farben, responsabili per la Buna:

Dodici furono ritenuti non colpevoli, cinque ricevettero pene da uno a quattro anni, e sei da cinque ad otto anni.
Conot, op. cit., p. 517.

Esisteva anche un commercio di abiti, occhiali e capelli delle vittime assassinate. Ha scritto Levi:

…io stesso ho trovato a Katowice, dopo la liberazione, pacchi e pacchi di moduli in cui si autorizzavano i capifamiglia tedeschi a prelevare gratis abiti e scarpe per adulti e per bambini dai magazzini di Auschwitz; nessuno si domandava da dove venissero tante scarpe per bambini?
Levi, Sommersi, p. 147.


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