Iniezioni

mercoledì 25 Gennaio 2012

Fra i metodi di uccisione praticati ad Auschwitz quello più vicino alla medicina era l’iniezione di fenolo, che vi fu istituzionalizzata abbastanza presto. Un paziente veniva condotto in una stanza per la terapia, dove un medico o (nella maggior parte dei casi) un suo assistente, che indossava un camice bianco, gli somministrava un farmaco usando ago e siringa per l’iniezione. Nel gergo del campo c’erano il verbo attivo spritzen (iniettare [einspritzen], spruzzare) e il participio passato usato in senso passivo abgespritzt per indicare coloro che avevano subito l’iniezione, e forme sostantivate equivalenti nel significato di «siringazione» e «fenolizzare».

In principio il fenolo veniva iniettato in vena, massimizzando in tal modo l’aura medica che circondava l’intero procedimento… Non molto tempo dopo la tecnica fu modificata e si passò a iniettare il fenolo direttamente nel cuore. Qualche testimone pensava che il mutamento fosse stato determinato dalla difficoltà in cui ci si imbatteva talvolta nel trovare le vene, ma pare che la vera ragione fosse l’efficacia molto maggiore di un’iniezione intracardiaca diretta. I pazienti che ricevevano l’iniezione in vena potevano rimanere in vita per minuti o persino per un’ora o più.

La «soluzione acquosa concentrata di fenolo» che fu sviluppata si dimostrò «economica, facile da usare e assolutamente efficace quando veniva introdotta nel ventricolo cardiaco», tanto che un’iniezione di dieci-quindici centimetri cubici nel cuore causava la morte entro quindici secondi.

Le iniezioni di fenolo erano praticate nel Blocco 20:

A quel punto due aiutanti ebrei prigionieri introducevano nella stanza una vittima (a volte le vittime venivano introdotte due per volta) e la sistemavano su uno sgabello, di solito in modo che il braccio destro le coprisse gli occhi e il braccio sinistro fosse sollevato di lato in una posizione orizzontale… Lo scopo era quello di far sì che la vittima stesse col petto in fuori, in modo da garantire la massima accessibilità dell’area cardiaca per l’iniezione mortale, e da non farle vedere cosa stesse accadendo… La persona che praticava l’iniezione – per lo più l’SDG Josef Klehr – riempiva la siringa dalla bottiglia e poi spingeva l’ago direttamente nel cuore del prigioniero seduto, svuotandovi il contenuto della siringa. La maggior parte dei prigionieri cadevano morti quasi immediatamente…
Lifton, op. cit., pp. 334-340


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