Fetore e pulizia

mercoledì 25 Gennaio 2012

In questo luogo, lavarsi tutti i giorni nell’acqua torbida del lavandino immondo è praticamente inutile ai fini della pulizia e della salute; è invece importantissimo come sintomo di residua vitalità, e necessario come strumento di sopravvivenza morale.
Devo confessarlo: dopo una sola settimana di prigionia, in me l’istinto di pulizia è sparito. Mi aggiro ciondolando per il lavatoio, ed ecco Steinlauf, il mio amico quasi cinquantenne, a torso nudo, che si strofina collo e spalle con scarso esito (non ha sapone) ma con estrema energia. Steinlauf mi vede e mi saluta, e senza ambagi mi domanda severamente perché non mi lavo. Perché dovrei lavarmi? Starei forse meglio di quanto sto? Piacerei di più a qualcuno? Vivrei un giorno, un’ora di più? Vivrei anzi di meno, perché lavarsi è un lavoro, uno spreco di energia e di calore. Non sa Steinlauf che dopo mezz’ora ai sacchi di carbone ogni differenza tra me e lui sarà scomparsa? … Ma questo era il senso, non dimenticato allora né poi: che appunto perché il Lager è una gran macchina per ridurci a bestie, noi bestie non dobbiamo diventare; che anche in questo luogo si può sopravvivere, e perciò si deve voler sopravvivere, per raccontare, per portare testimonianza; e che per vivere è importante sforzarci di salvare almeno lo scheletro, l’impalcatura, la forma della civiltà. Che siamo schiavi, privi di ogni diritto, esposti a ogni offesa, votati a morte quasi certa, ma che una facoltà ci è rimasta e dobbiamo difenderla con ogni vigore perché è l’ultima: la facoltà di negare il nostro consenso. Dobbiamo quindi, certamente, lavarci la faccia senza sapone, nell’acqua sporca, e asciugarci nella giacca.
Levi, Se questo è un uomo, pp. 47-48


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