Nutrimento

mercoledì 25 Gennaio 2012

A ciascun prigioniero spettava teoricamente una razione giornaliera di 350 grammi di pane, mezzo litro di surrogato di caffè a colazione e un litro di zuppa di patate e rape a pranzo. Inoltre, ognuno doveva ricevere una razione di zuppa con 20 grammi di carne quattro volte la settimana, ma in pratica quella zuppa raggiungeva di rado le gamelle da cui i prigionieri mangiavano. L’apporto ufficiale del vitto giornaliero per gli internati addetti a lavori leggeri era fissato in 1.700 calorie, e per quelli addetti a lavori pesanti a 2.150; un’analisi dell’effettivo valore nutrizionale fatta dopo la guerra dette invece risultati variabili fra le 1.300 calorie per i prigionieri impiegati in lavori leggeri e le 1.700 per quanti svolgevano lavori pesanti. La differenza era causata dai saccheggi da parte del personale SS e dei prigionieri-funzionari; tutto il sistema di ripartizione delle vettovaglie era inquinato dall’ingiustizia. I kapò, o i prigionieri addetti alla distribuzione della zuppa, si assicuravano che il contenuto più spesso e nutriente sul fondo del mastello andasse ai prigionieri «giusti», mentre gli altri dovevano accontentarsi della sostanza acquosa nella parte superiore del pentolone…
In queste condizioni, il cibo supplementare equivaleva alla sopravvivenza … Le razioni di pane servivano quindi come una sorta di valuta. I funzionari, che costituivano probabilmente dal tre al cinque per cento della popolazione internata, scambiavano le proprie razioni supplementari di pane e zuppa con vitto di migliore qualità e sapore.
I prigionieri condannati alla sussistenza con la razione ufficiale perdevano peso molto rapidamente, e le loro possibilità di sopravvivenza diminuivano allo stesso ritmo.
Anatomy, pp. 24-25

Durante un’incursione aerea

Vicino alla cucina due recipienti di zuppa calda e fumante erano stati lasciati lì mezzi pieni. Due recipienti di zuppa! Proprio in mezzo al viale due recipienti di zuppa, senza nessuno a sorvegliare!…
All’improvviso vedemmo aprirsi impercettibilmente la porta del blocco 37. Apparve un uomo che strisciava come un verme nella direzione dei recipienti.
Centinaia d’occhi seguivano i suoi movimenti. Centinaia di uomini strisciavano con lui, si scorticavano con lui sui sassi. Tutti i cuori trepidavano, ma soprattutto d’invidia: lui aveva osato.
Toccò il primo recipiente. I cuori battevano più forte: c’era riuscito. La gelosia ci divorava, ci consumava come paglia. Non pensavamo neanche un po’ ad ammirarlo. Povero eroe che andava al suicidio per una razione di zuppa: noi lo uccidevamo col pensiero.
Disteso accanto al recipiente tentava di sollevarsi fino al bordo, ma per debolezza o per timore restava giù, raccogliendo certamente le sue ultime forze. Finalmente riuscì ad alzarsi. Per un attimo sembrò specchiarsi nella zuppa, cercando la sua immagine di fantasma; poi, senza una ragione apparente, lanciò un urlo terribile, un rantolo che non avevo mai sentito, e con la bocca aperta si gettò sul liquido ancora fumante. Noi trasalimmo alla detonazione. Ripiombato a terra, il volto schizzato di zuppa, l’uomo si contorse per qualche secondo ai piedi del recipiente e poi non si mosse più.
Wiesel, op. cit., p. 62

Abbiamo appreso il valore degli alimenti; ora anche noi raschiamo diligentemente il fondo della gamella dopo il rancio, e la teniamo sotto il mento quando mangiamo il pane per non disperderne le briciole. Anche noi adesso sappiamo che non è la stessa cosa ricevere il mestolo di zuppa prelevato dalla superficie o dal fondo del mastello, e siamo già in grado di calcolare, in base alla capacità dei vari mastelli, quale sia il posto più conveniente a cui aspirare quando ci si mette in coda…
Eccomi dunque sul fondo. A dare un colpo di spugna al passato e al futuro si impara assai presto, se il bisogno preme. Dopo quindici giorni dall’ingresso, già ho la fame regolamentare, la fame cronica sconosciuta agli uomini liberi, che fa sognare di notte e siede in tutte le membra dei nostri corpi…
La Borsa è attivissima sempre … Qui si aggirano a decine, colle labbra socchiuse e gli occhi rilucenti, i disperati della fame, che un istinto fallace spinge colà dove le mercanzie esibite rendono più acre il rodimento dello stomaco, e più assidua la salivazione.
Levi, Se questo è un uomo, pp. 37-38, 42, 97-98

…la dieta media ad Auschwitz permetteva a un prigioniero di restare in vita per non più di tre mesi, dopo di che comparivano i sintomi di un forte dimagrimento e della «malattia della fame»; e i primi blocchi medici svolsero la funzione di luoghi in cui «le persone sofferenti della malattia della fame potevano trascorrere il tempo dall’inizio della malattia fino alla morte.»
Lifton, op. cit., p. 251.


RitornaProsegui