Selezioni

mercoledì 25 Gennaio 2012

Le selezioni per la camera a gas si svolgevano all’arrivo ad Auschwitz, e in seguito periodicamente per eliminare i «mussulmani» via via che si indebolivano; i medici di Auschwitz erano coinvolti nel processo dall’inizio alla fine. Molte testimonianze riferiscono che il dottor Mengele attendeva i trasporti sulla rampa vestito impeccabilmente, e fischiettando tra sé mentre segnalava con un gesto della mano la destra (vita) o la sinistra (morte). Ad Auschwitz venivano mandati in gas i bambini, le madri, gli anziani e tutti coloro che erano troppo deboli per lavorare.
Le selezioni al campo venivano fatte durante gli appelli. I prigionieri erano obbligati a stare in piedi al freddo nudi, spesso per ore e ore, mentre i medici e le SS li esaminavano per decidere chi sarebbe vissuto e chi sarebbe morto. Gli internati sapevano di dover correre sul posto e mostrare ogni residua energia, per evitare di essere mandati a morte.

Selezioni alla rampa

Cresce l’ammasso di oggetti: valigie, fagotti, zaini, coperte, vestiti, borsette che cadendo si aprono e spargono il loro contenuto di multicolori banconote iridate, oro, orologi; davanti alle porte dei vagoni s’impilano cataste di pane, si ammonticchiano variopinti barattoli di marmellate e confetture, si innalzano cumuli di prosciutti e salsicce, sulla ghiaia si sparge lo zucchero. Carichi di persone, gli autocarri partono con un rombo infernale, fra i lamenti e le urla delle donne che piangono i loro bambini e il silenzio attonito degli uomini rimasti che all’improvviso si sono trovati soli. Quelli che si sono diretti a piedi verso la destra, giovani e sani, andranno al lager. Non scamperanno al gas, ma prima dovranno lavorare.

Ecco una donna camminare svelta, affrettando impercettibilmente ma febbrilmente il passo. Un bambino di pochi anni, dal viso paffuto e rubicondo di cherubino, la insegue, non riesce a tenerle dietro, tende le braccine piangendo: «Mamma! Mamma!».
«Donna, prendi in braccio quel bambino!»
«Signore! Signore, non è mio quel bambino, non è mio!» strilla lei isterica, e fugge coprendosi il volto con le mani. Vuole nascondersi, raggiungere quelle che non saliranno sui camion, quelle che se ne andranno a piedi, che vivranno. È giovane, sana, bella, vuole vivere.

Finché non la raggiunse di corsa Andrej, marinaio di Sebastopoli. Aveva gli occhi annebbiati dall’afa e dalla vodka. La raggiunse, con un solo poderoso colpo la buttò a terra e mentre stava cadendo, la riprese per i capelli, rialzandola di peso.

«Tu, ebi tvoju mat! Blad’ evrejskaja! Quella gran puttana di tua madre! Puttana di un’ebrea! E così, scappi via da tuo figlio? Ti faccio vedere io, puttana!» L’agguantò alla vita, le soffocò con una mano il grido in gola e la scaraventò di slancio sull’autocarro come un pesante sacco di grano.
«Ben ti sta! Prenditi anche questo! Cagna!». E le gettò il bambino tra le gambe.

Altri portano una bambina senza una gamba. L’hanno presa per le braccia e per la gamba che le resta. Sul viso le colano le lacrime, mormora in un lamento: «Signori, mi fate male, mi fate male…» La buttano sull’autocarro assieme ai cadaveri: brucerà viva con loro.
Borowski, op. cit., pp. 139-148

Ci apparve una vasta banchina illuminata da riflettori. Poco oltre, una fila di autocarri … bisognava scendere coi bagagli, e depositare questi lungo il treno. In un momento la banchina fu brulicante di ombre … Una decina di SS stavano in disparte, l’aria indifferente, piantati a gambe larghe. A un certo momento penetrarono fra di noi e, con voce sommessa, con visi di pietra, presero a interrogarci rapidamente … «Quanti anni? Sano o malato?» e in base alla risposta ci indicavano due diverse direzioni.

Tutto era silenzioso come in un acquario, e come in certe scene di sogni. Ci saremmo attesi qualcosa di più apocalittico: sembravano semplici agenti d’ordine. Era sconcertante e disarmante. Qualcuno osò chiedere dei bagagli: risposero «bagagli dopo»; qualche altro non voleva lasciare la moglie: dissero «dopo di nuovo insieme»; molte madri non volevano separarsi dai figli: dissero «bene bene, stare con figlio». …

In meno di dieci minuti tutti noi uomini validi fummo radunati in un gruppo. Quello che accadde degli altri, delle donne, dei bambini, dei vecchi, noi non potemmo stabilire allora né dopo: la notte li inghiottì, puramente e semplicemente. Oggi però sappiamo che in quella scelta rapida e sommaria, di ognuno di noi era stato giudicato se potesse o no lavorare utilmente per il Reich; sappiamo che nei campi rispettivamente di Buna-Monowitz e Birkenau, non entrarono, del nostro convoglio, che novantasei uomini e ventinove donne, e che di tutti gli altri, in numero di più di cinquecento, non uno era vivo due giorni più tardi.
Levi, Se questo è un uomo, pp. 19-20

Mengele alla rampa

Alcuni identificavano una qualità giocosa nel distacco di Mengele, nel suo «camminare avanti e indietro… [con] un’espressione gaia sul volto…, quasi come se si divertisse…, il divertimento della routine… Era molto allegro».


Al tempo stesso i prigionieri erano colpiti dal contrasto fra ciò che egli sembrava e ciò che era. Un sopravvissuto, che lo descrisse come «di bell’aspetto… molto educato», dichiarò che «non sembrava davvero un assassino», aggiungendo però subito dopo: «Colpì mio padre sul collo col bastone e lo mandò in una certa direzione [verso la camera a gas]». Oppure: «Era brutale, ma in un modo distinto, depravato». Il distacco studiato di Mengele poteva infatti essere interrotto da esplosioni di rabbia e di violenza, specialmente quando si imbatteva in resistenze al suo modo di intendere le regole di Auschwitz. Per esempio, all’arrivo di un trasporto una ragazza, indirizzata da Mengele a destra mentre sua madre e le sorelle più piccole venivano avviate a sinistra, «supplicò e pianse» perché non voleva separarsi da loro: «[Allora Mengele] afferrò i capelli, mi trascinò e mi colpì. Quando anche mia madre cercò di supplicarlo, colpì anche lei col bastone».
Lifton, op. cit., p. 447

Selezioni al campo

Le selezioni si sentono arrivare. «Selekcja»: la ibrida parola latina e polacca si sente una volta, due volte, molte volte, intercalata in discorsi stranieri; dapprima non la si individua, poi si impone all’attenzione, infine ci perseguita…
Non si può dire che ne risulti un’ondata di abbattimento. Il nostro morale collettivo è troppo inarticolato e piatto per essere instabile. La lotta contro la fame, il freddo e il lavoro lascia poco margine per il pensiero, anche se si tratta di questo pensiero. Ciascuno reagisce a suo modo, ma quasi nessuno con quegli atteggiamenti che sembrerebbero più plausibili perché sono realistici, e cioè con la rassegnazione o con la disperazione.
Chi può provvedere provvede; ma sono i meno, perché sottrarsi alla selezione è molto difficile, i tedeschi fanno queste cose con grande serietà e diligenza.
Chi non può provvedere materialmente cerca difesa altrimenti. Ai gabinetti, al lavatoio, noi ci mostriamo l’un l’altro il torace, le natiche, le cosce, e i compagni ci rassicurano: – puoi essere tranquillo, non sarà certo la tua volta, … du bist kein Muselmann
Il nostro Blockältester conosce il suo mestiere. Si è accertato che tutti siano rientrati, ha fatto chiudere la porta a chiave, ha distribuito a ciascuno la scheda che porta la matricola, il nome, la professione, l’età e la nazionalità, e ha dato ordine che ognuno si spogli completamente, conservando solo le scarpe. In questo modo, nudi e con la scheda in mano, attenderemo che la commissione arrivi alla nostra baracca. Noi siamo la baracca 48, ma non si può prevedere se si comincerà dalla baracca 1 o dalla 60…
Il Blockältester e i suoi aiutanti, a pugni e urli, a partire dal fondo del dormitorio, si cacciano davanti la turba dei nudi spaventati e li stipano dentro il Tagesraum… una cameretta di sette metri per quattro: quando la caccia è finita, dentro il Tagesraum è compressa una compagine umana calda e compatta, che invade e riempie perfettamente tutti gli angoli ed esercita sulle pareti di legno una pressione tale da farle scricchiolare. Qui, davanti alle due porte, sta l’arbitro del nostro destino, che è un sottufficiale delle SS. Ognuno di noi, che esce nudo dal Tagesraum nel freddo dell’aria di ottobre, deve fare di corsa i pochi passi fra le due porte davanti ai tre, consegnare la scheda alla SS e rientrare per la porta del dormitorio. La SS, nella frazione di secondo fra due passaggi successivi, con uno sguardo di faccia e di schiena giudica della sorte di ognuno, e consegna a sua volta la scheda all’uomo alla sua destra o all’uomo alla sua sinistra, e questa è la vita o la morte di ciascuno di noi.
Nessuno conosce ancora con sicurezza il proprio destino, bisogna anzitutto stabilire se le schede condannate sono quelle passate a destra o a sinistra. Ormai non è più il caso di risparmiarsi l’un l’altro e di avere scrupoli superstiziosi. Tutti si accalcano intorno ai più vecchi, ai più denutriti, ai più «mussulmani»; se le loro schede sono andate a sinistra, la sinistra è certamente il lato dei condannati.
Ai selezionati verrà distribuita doppia razione. Non ho mai saputo se questa fosse un’iniziativa assurdamente pietosa dei Blockältester od un’esplicita disposizione delle SS, ma di fatto, nell’intervallo di due o tre giorni (talora anche molto più lungo) fra la selezione e la partenza, le vittime a Monowitz-Auschwitz godevano di questo privilegio…
A poco a poco prevale il silenzio, e allora, dalla mia cuccetta che è al terzo piano, si vede e si sente che il vecchio Kuhn prega, col berretto in testa e dondolando il busto con violenza. Kuhn ringrazia Dio perché non è stato scelto.
Kuhn è un insensato. Non vede, nella cuccetta accanto, Beppo il greco che ha vent’anni, e dopodomani andrà in gas… Non sa Kuhn che la prossima volta sarà la sua volta? … Se io fossi Dio, sputerei a terra la preghiera di Kuhn.
Levi, Se questo è un uomo, pp. 157-164


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