Evasioni

mercoledì 25 Gennaio 2012

Ad Auschwitz le evasioni erano estremamente rare, ma non inaudite.

Il caso più famoso fu quello di Mala Zimetbaum e del suo compagno polacco, Edek Galinski. Nel campo lei faceva la Läuferin, o fattorina, e poteva muoversi per fare delle commissioni e portare messaggi. Entrambi erano stati membri della resistenza antinazista, lui in Polonia, lei in Belgio. Lui riuscì a trafugare un’uniforme delle SS, lei «organizzò» un lasciapassare, e insieme lasciarono il campo sotto le spoglie di una SS che trasferiva una prigioniera. Molti sopravvissuti di Auschwitz li ricordano, poiché ispirarono in tutti un’enorme speranza, ma i racconti divergono sulla distanza che i due riuscirono a percorrere prima di essere arrestati e riportati al campo; secondo alcuni superstiti, arrivarono fino a Cracovia. Tornati ad Auschwitz, furono entrambi torturati e poi portati al patibolo per la pubblica esecuzione. Mala si tagliò le vene dei polsi con una lametta da barba che era riuscita a nascondere, fu picchiata a morte e caricata sul carro per il crematorio senza essere impiccata. Dall’altra parte del campo, Edek s’infilò il cappio e diede un calcio alla panca prima che fosse letta la sentenza di morte; le SS lo salvarono e lo impiccarono nuovamente.

Ci furono seicento altri casi di evasione da Auschwitz; ma quasi quattrocento fuggiaschi furono nuovamente catturati. Alla scoperta di una fuga, tutti i prigionieri del campo venivano fatti stare sull’attenti per ore mentre si cercava l’evaso al di fuori del campo; una volta catturato, l’evaso veniva torturato, poi fatto sfilare per il campo con un cartello che diceva «Evviva, sono tornato» e infine impiccato di fronte agli altri prigionieri.
Friedrich, op. cit., pp. 98-102

Primo Levi, nel capitolo de I sommersi e i salvati intitolato «Stereotipi», riferisce che gli è stato chiesto spesso perché non era fuggito da Auschwitz:

Esistevano in Germania parecchi milioni di stranieri in condizione di schiavitù, affaticati, disprezzati, sottoalimentati, malvestiti e malcurati, tagliati fuori dal contatto con la madrepatria. Non erano «prigionieri tipici», non erano integri, erano anzi demoralizzati e svigoriti. … Per loro l’evasione era difficile ed estremamente pericolosa: erano indeboliti, oltre che demoralizzati, dalla fame e dai maltrattamenti; erano e si sentivano considerati di minor valore che bestie da soma. Avevano i capelli rasati, abiti lerci subito riconoscibili, scarpe di legno che impedivano un passo rapido e silenzioso. Se erano stranieri, non avevano conoscenze né rifugi possibili nei dintorni… Il caso particolare (ma numericamente imponente) degli ebrei era il più tragico. … verso dove avrebbero dovuto dirigersi? A chi chiedere ospitalità? Erano fuori dal mondo, uomini e donne d’aria.
Levi, Sommersi, pp. 124-125


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